Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno 1798, a Recanati, piccolo centro dello Stato Pontificio, dal conte Monaldo Leopardi e da Adelaide dei marchesi Antici.
Come annota il padre in un registro familiare memoria dei principali eventi della famiglia attraverso i secoli:
“A dì 29 giugno 1798. Nacque alle ore 19 il mio primo figlio, maschio, partorito da mia moglie Adelaide felicemente, sebbene dopo tre giorni interi di doglie… A dì 30 fu battezzato il dopo pranzo nella nostra parrocchia di Monte Morello, dal padre Luigi Leopardi filippino, mio zio, e lo levarono al sacro fonte li allora Cittadini Filippo Antici mio suocero, e Virginia Mosca Leopardi mia madre.”
Primo di sette, questo figlio dimostra fin dai primi anni una straordinaria intelligenza ed un particolare desiderio di conoscere; dall’età di sei anni, godendo della gioiosa compagnia del fratello Carlo e della sorella Paolina, è l’animatore di giochi e di storie raccontate e sceneggiate, in casa o nel giardino, per interminabili giornate.
1807-1815
Gli studi giovanili e i primi componimenti
A partire dal 1807, Giacomo, assieme ai fratelli, viene affidato a don Sebastiano Sanchini, scelto come precettore di casa, ma la sua brillantezza lo porta a rendersi presto autonomo negli studi. In una identificazione assoluta con la figura del padre, fino al 1815, Giacomo compie studi eruditi che spaziano in settori diversi del sapere, secondo un gusto enciclopedico di moda. Ha una facilità notevole a mettere in versi qualsiasi cosa.
Nel 1809, dopo aver letto Omero, compone il sonetto La morte di Ettore; nel 1810, compone il poemetto I Re Magi e, del 1811, è la tragedia La virtù indiana; del 1812, sono la tragedia Pompeo in Egitto e gli Epigrammi.
Il giovane Leopardi affronta letture di vario genere, studia il latino, il greco, l’ebraico, il francese e altre lingue moderne, coltivando interessi filologici con traduzioni e commenti ai classici più famosi, intraprendendo studi di geografia, di astronomia e di scienze naturali.
Nel 1813 scrive la Storia dell’astronomia e nel 1815 il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi.
1816
La conversione letteraria
La lettura dei classici gli rivelano il salto di qualità e di sostanza tra una poesia interiormente vissuta e un gusto poetico della tradizione retorica: il passaggio dagli studi eruditi agli studi letterari, dalle nozioni al bello, comporterà un’adesione assoluta alla poesia come pura rappresentazione.
Giacomo interviene nella polemica intorno al romanticismo che arriva a Recanati attraverso rare riviste e indirizza alla «Biblioteca Italiana» una Lettera in risposta all’intervento della de Staёl, che esortava e a leggere e a tradurre gli stranieri. Questa lettera non viene mai pubblicata, Leopardi rifiuta la proposta della de Staёl delle traduzioni, insistendo sul fatto che la poesia non nasce dalla cultura e dallo studio degli autori ma da «un impulso sovrumano».
Il 1816 è l’anno delle importanti traduzioni del primo libro dell’Odissea, del secondo dell’Eneide, e del Moretum pseudo-virgiliano. Per Giacomo anche due importanti prove poetiche: nella primavera, l’idillio Le rimembranze, e nel novembre, Appressamento della morte.
1817-18
La corrispondenza con Giordani e le prime opere
A partire dal 1817, Giacomo instaura una corrispondenza con lo scrittore piacentino Pietro Giordani, che presto diventerà il suo interlocutore preferenziale. Leopardi, a lui, espone progetti e chiede consigli, invia note e versi in visione, con lui, si lamenta dell’isolamento della Marca, della grettezza e dell’ignoranza della gente di Recanati.
A diciannove anni, il Poeta, si innamora per la prima volta, rimanendo fulminato dalla vista della cugina pesarese Gertrude Cassi nel suo breve passaggio a palazzo. In pochi giorni Giacomo scrive Il primo amore e le Memorie del primo amore; inizia in quest’anno a registrare delle riflessioni che diventeranno poi le pagine del suo Zibaldone di pensieri, che andrà a costituire la più alta espressione del vastissimo pensiero leopardiano, un acuto studio di sentimenti umani, un esame approfondito dei più vari argomenti.
Il 1818 lo vede ispirato nella composizione delle sue prime canzoni: All’Italia e Sopra il monumento di Dante.
Lo viene a trovare a Recanate Giordani e la visita rafforza in lui il desiderio di lasciare Recanati, credendo di trovare altrove, ciò che a lui manca.
1819
Il tentativo di fuga e L’infinito
I dolori fisici del poeta, provocati da una malattia contratta in età adolescenziale, si riacutizzano e la sua malattia agli occhi si rileverà sempre più inguaribile. Desideroso di più ampi orizzonti, è illuminato dall’illusione di una «terra piena di meraviglie» che lo aspetta fuori di Recanati, e dal sogno crescente di una gloria che riscatti sofferenze e privazioni che patisce.
A tale scopo chiede ed ottiene il passaporto (allora necessario) per recarsi a Milano, ma contrastato nel suo progetto dal padre, si rassegna poi a rinunciare alla partenza.
Attraverso il distacco dalla religione e l’adesione alle tesi materialistiche del meccanicismo la «conversione filosofica» culmina nel passaggio dal bello al vero: la scoperta del «solido nulla» che la ragione consegna all’uomo. La «poesia d’immaginazione» non può che essere degli antichi e la poesia moderna è «poesia sentimentale», in cui non si può fare a meno del ragionamento e della filosofia.
Il 1819 è l’anno de L’infinito e di Alla Luna.
1820
Gli antichi e i moderni
In atteggiamento sempre più critico nei confronti del mondo contemporaneo, Giacomo sviluppa l’idea di una contrapposizione tra gli antichi, capaci di eroismo, e i contemporanei, morti a qualsiasi virtù.
Di questo periodo sono la canzone Ad Angelo Mai e l’idillio La sera del dì di festa, lavora a Il sogno e inizia i primi progetti e i primi appunti di quelle che in seguito diventeranno le Operette morali.
1821
Le canzoni filosofiche
Leopardi compone alcuni dei suoi «discorsi filosofici» in versi, le canzoni Nelle nozze della sorella Paolina, A un vincitore nel pallone, il Bruto Minore e La vita solitaria.
1822-1824
Il soggiorno romano
Il rimpianto per la natura primitiva e il riecheggiamento accorato di quella capacità immaginativa propria degli antichi, lo portano a comporre Alla Primavera e l’Inno ai Patriarchi. Nel maggio compone l’Ultimo canto di Saffo, portando in luce la disperazione di chi si sente escluso ingiustamente dalla felicità della natura.
Nell’autunno Monaldo decide di lasciar partire Giacomo per Roma, dove è ospite dello zio, il marchese Carlo Antici. Pieno di speranze e progetti, il Poeta rimane deluso dall’esperienza romana: lo infastidisce la città, troppo grande e rumorosa, sporca e poco sicura; lo scandalizzano la corruzione e l’ipocrisia della curia; lo amareggia l’insulsaggine dei letterati. Le sue uniche consolazioni sono la visita ai luoghi cari a Torquato Tasso e la frequentazione di Angelo Mai, Niebuhr, Bunsen e Jacopssen.
Torna volentieri a Recanati, dove compone nel 1823 Alla sua donna. L’anno successivo compone la maggior parte delle Operette Morali, opera di alto contenuto filosofico, celato talora sotto una veste leggera e satirica.
Nonostante l’avvenuta pubblicazione di alcuni suoi lavori, il Poeta è sconosciuto dalla maggior parte degli Italiani.
1825-1827
Bologna, Milano, Firenze
Nel 1825 Giacomo fa tappa Bologna dove fu bene accolto dalla società letteraria, e qui rivede Giordani e conosce Pietro Brighenti, direttore di una rivista letteraria.
Il suo viaggio prosegue per Milano, dove ha modo di instaurare un rapporto di lavoro con l’editore Antonio Fortunato Stella e dove ha modo di incontrare Vincenzo Monti. Per Giacomo è un periodo di euforie: il Poeta crede di potersi mantenere da solo fuori di Recanati, ma la sua salute rimane incerta. Al ritorno da Milano, il 29 settembre 1825, il poeta rimane nella città emiliana fino al novembre dell’anno successivo.
Torna a Recanati e lavora alle due Crestomazie della prosa e della poesia italiana che si è impegnato a fare per l’editore Stella già dall’anno prima. Il 26 aprile del 1827 torna a Bologna, dagli amici che lo stimano e lo esortano a lavorare. Lì, conosce l’esule napoletano Antonio Ranieri con cui avrà uno stretto rapporto d’amicizia. Nel giugno del 1827, contemporaneamente ai Promessi sposi di Manzoni, esce a Milano l’edizione delle Operette morali, che Leopardi aveva consegnato a Stella.
Il 21 giugno Giacomo si trasferisce a Firenze dove conosce e frequenta Vieusseux, Colletta, Capponi, Stendhal e Tommaseo. Leopardi incontra Manzoni, che resterà sempre sordo al mondo e alla voce del poeta di Recanati. Giacomo compone altre due operette, che entreranno nell’edizione postuma del 1845, il Dialogo di Plotino e di Porfirio e Il Copernico e compila l’Indice del mio Zibaldone.
Il primo novembre si trasferisce a Pisa, per superare l’inverno a un clima più mite di Firenze.
1828-1830
Pisa, il ritorno a Recanati e l’amore per Fanny
Compostamente classica, incantata e magica, Pisa appare agli occhi di Giacomo come il periodo più sereno e felice della sua esistenza: sente rinascere in sé quel sentimento poetico che si traduce immediatamente nella esemplare canzonetta Il Risorgimento e, di lì a poco, nell’intenso idillio A Silvia, dove il Poeta rievoca la propria giovinezza perduta nella figurazione della bella Teresa Fattorini. A Pisa, lo raggiunge la notizia della morte precoce del fratello Luigi, appena ventiquattrenne.
Giacomo passa a Firenze per pochi mesi e poi torna a Recanati, dove si fermerà per un anno e mezzo circa. Sofferenza, rassegnazione, disperazione, dolce malinconia; in famiglia molto è cambiato e Giacomo vive i fantasmi di un passato rievocato con la disperazione di chi sente ogni cosa come irrimediabilmente perduta. Ed è in uno stato d’animo sofferto e combattuto che nascono i grandi idilli: Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
Riparte alla volta di Bologna per poi raggiungere Firenze: qui conosce Fanny Targioni Tozzetti e si innamora di lei, le dedicherà qualche anno più tardi il ciclo di Aspasia. Comincia a scrivere i Paralipomeni della Batracomiomachia e probabilmente compone Il passero solitario.
1831
I Canti e con Ranieri a Roma
A Firenze, nell’aprile del 1831, esce la prima edizione dei Canti. Nell’ottobre, Leopardi e Ranieri, che ormai hanno stretto un sodalizio, si recano a Roma per passare l’inverno a un clima più mite e per cercare qualche incarico o lavoro. La speranza per Giacomo di ricavare qualcosa dai suoi vecchi lavori filologici va delusa.
1832
Nuovamente a Firenze
Nel marzo del 1832 il Poeta e Ranieri tornano a Firenze. Il rapporto epistolare con il padre Monaldo si fa sempre più intenso; deferenza ma anche sincero affetto, a dimostrazione della complessità del rapporto che lo legava al padre. Quell’anno, Leopardi compone le sue ultime due operette morali: il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere e il Dialogo di Tristano e di un amico. Nel dicembre, dopo aver cessato di annotare sullo Zibaldone, si dedica alla stesura di centoundici Pensieri, che sono la summa della sua riflessione filosofica.
Il clima di Firenze, divenuto insopportabile per Leopardi, lo porterà di nuovo a Roma.
1833-1837
Gli ultimi anni: l’esperienza napoletana
Nell’ottobre del 1833, Giacomo e Ranieri si stabiliscono a Napoli. Favorito dall’ottimo clima partenopeo, Leopardi rimane colpito dall’atmosfera napoletana, anche se, culturalmente parlando, lo infastidiscono le tendenze idealistiche e cattoliche che dominano la città. Proprio in questi anni stende i canti ispirati dall’amore per Fanny: Consalvo, Il pensiero dominante, Amore e morte, Aspasia e A se stesso.
Nel 1835 esce l’edizione napoletana dei Canti, presso l’editore Starita.
Nel gennaio del 1836, il primo volume della nuova edizione napoletana delle Operette morali viene sequestrato dalla censura borbonica, e viene a cadere il progetto di pubblicazione dell’intera opera leopardiana presso il suddetto editore. Giacomo è rattristato e risentito e compone in questa occasione il capitolo I nuovi credenti, satira irridente contro gli spiritualisti napoletani. Nell’aprile del 1836, Leopardi e Ranieri si trasferiscono tra Torre del Greco e Torre Annunziata, in una villetta ai piedi del Vesuvio. Qui compone entro l’anno La ginestra, suo testamento poetico, e Il tramonto della luna, che verranno pubblicate postume, nell’edizione fiorentina del 1845.
Nel 1837 a Napoli scoppia un’epidemia di colera, Leopardi preso tra continui malesseri e fastidi, si abbandona ad eccessi e abusi di dolci e gelati.
Il giorno 14 giugno del 1837, dà segni di aggravamento e muore nel giro di poche ore, assistito da Ranieri, sua sorella Paolina e dal medico accorso al capezzale. Nel libro di casa che è stato citato all’inizio con le parole del padre Monaldo riguardanti la sua nascita, si legge a firma della sorella Paolina:
“Adì 14 giugno 1837 morì nella città di Napoli questo mio diletto fratello divenuto uno dei primi letterati d’Europa: fu tumulato nella chiesa di San Vitale sulla via di Pozzuoli. Addio caro Giacomo: quando ci rivedremo in Paradiso?”